Una sporca storia è un libro di Sepulveda pubblicato nel 2004. Come lui stesso scrive contiene testi che "sono tratti dalle tre Moleskine che ho finito tra il gennaio 2002 e il marzo 2004". L'urlo, che parla dell'assurdità della guerra, è uno di questi testi.
L'urlo
Ci sono molti quadri enigmatici di cui ho sempre voluto conoscere il vero significato, ma ce n'è uno, L'urlo, del pittore norvegese Edvard Munch, il cui orrore ha paralizzato qualunque desiderio di indagare. Ora so cosa urla quel viso stravolto da un'espressione che riunisce tutto l'umano terrore, l'umana paura, l'umano abbandono. Urla: «MALEDETTE LE GUERRE E LE CANAGLIE CHE LE FANNO». La voce senza suono di Munch ha trovato espressione spagnola, ad onta di molti, nella bocca di Julio Anguita, leader comunista, un uomo di pace, uno di quelli che hanno reso possibile il ritorno della democrazia in Spagna e che ora, proprio perché è uomo di pace, viene stigmatizzato, demonizzato, da quanti cercheranno disperatamente una giustificazione per la morte di suo figlio, il giornalista Julio Anguita Parrado.
Impariamo a forza di colpi che ci umiliano. Impariamo per esempio che non tutti gli anziani sono saggi e che nessun sentimento di pietà davanti alla vecchiaia consiglia di accettare con rassegnazione che don Manuel Fraga, presidente della Galizia, confronti le morti di una guerra ingiusta, perché tutte le guerre lo sono, con quelle provocate dagli incidenti stradali. Impariamo che la politica, soprattutto quella internazionale, in quanto antica arte del possibile, non ha bisogno di dame di ferro come la ministra Ana Palacio, e che la sua ovvia inesperienza non l'autorizza a sentenziare cos'è un massacro e cosa non lo è in funzione di una mostruosa statistica delle vittime, perché confrontare il numero di caduti di questa guerra con un'altra è semplicemente osceno. Impariamo che la pace è la strada più difficile perché richiede risposte molto complesse a problemi che i guerrafondai presentano con stupefacente semplicità. Impariamo, e Julio Anguita Parrado ha dato la sua vita perché potessimo farlo, che ci sono uomini disposti a difendere la verità anche a prezzo della propria vita. I giornalisti della sua statura vanno al fronte per salvare la prima vittima e cioè la verità, per darci modo di sapere cos'accade realmente, per salvarci dalla disinformazione dei guerrafondai. Il primo morto spagnolo della guerra in Iraq non è stato ucciso dal caso, né dal rischio intrinseco al suo lavoro di corrispondente da una zona calda. Poco importa che il missile fosse iracheno. Poco importa se quei ragazzi di Manchester o di Dublino, del Tennessee, del New Jersey o del Colorado, che tornano a casa avvolti in una bandiera, sono morti sotto fuoco amico o sono stati colpiti dagli iracheni. Poco importa se quegli uomini di Bassora o di Baghdad sono periti negli atroci bombardamenti o assassinati da fanatici seguaci di Saddam. Poco importa se i bambini mutilati, se le migliaia di civili morti o feriti sono l'«inevitabile percentuale di danni collaterali», come ha dichiarato Donald Rumsfeld. L'importante è che tutti sono vittime di una guerra che poteva essere evitata.
L'urlo di Munch è uscito dalle pinacoteche e si è istallato nelle strade dell'Iraq, del Regno Unito, degli Stati Uniti, della «vecchia Europa» e di una Spagna che «per uscire dall'angolo» ha sacrificato venticinque anni di vocazione pacifica.
Impariamo a forza di colpi, ma impariamo tutti? La massa entusiasta della maggioranza assoluta si chiederà per esempio: perché il terzo uomo non è stato invitato in Irlanda dove verrà decisa la spartizione del bottino? Perché alle Azzorre sì e a Dublino no? Impareranno che si può perdere anche la dignità e che i bulli non sono particolarmente gentili con la gente ossequiosa? Impareranno che le nazioni sono veramente grandi quando si dedicano senza cedimenti al più grande compito umano: la convivenza pacifica?
Quale aggettivo di biasimo, quale entelechia galiziana, quale distacco da atleta della fuga in avanti, quale mormorio della massa potrà far tacere la voce di un uomo che perde un figlio, il suo sereno e dignitoso dolore che gli fa esclamare: «MALEDETTE LE GUERRE E LE CANAGLIE CHE LE FANNO».
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